La tomba di Antonio Gramsci |
In Via Tasso, consultando documenti nel Museo della Resistenza |
Questo blog si chiama ‘TantuMergo’, ci racconto, e commento,
talvolta con un po’ di ironia, cose che accadono in questo Paese; qui non parlo
(quasi) mai di me.
Invece stavolta farò uno strappo e dirò (a chi interessa)
di 3 giorni passati a Roma.
Domenica 14, la
sveglia suona presto. I due pullman organizzati dall’ANPI (1) passano a Serra
S. Quirico alle 6.15. Il programma prevede la visita al Cimitero degli
Acattolici, al Museo della Resistenza in Via Tasso, alle Fosse Ardeatine.
Siamo 130, perlopiù di mezza alta, ma sono molti anche i giovani.
Si sonnecchia fino alle 10, poi si arriva nella prima meta.
Al Cimitero degli Acattolici ci aspetta Luca, una guida
molto giovane e preparata. Ci spiega come e perché è nato questo cimitero
privato, a ridosso della Piramide.
Ci conduce sulle tombe delle
donne e degli uomini più o meno illustri, per lo più stranieri (ma all’ingresso
ti accoglie subito l’estrema e comune dimora di Joyce ed Emilio Lussu) che
hanno operato e hanno voluto essere sepolti in Italia (diplomatici, politici in
esilio, scrittori, poeti, musicisti, ecc.; di religione cristiano-protestante,
cristiano-ortodossa, religioni orientali, ecc. comunque non cattolici).
Noi abbiamo soprattutto un obiettivo: la tomba di Antonio Gramsci, “uno degli
Italiani più letti, tradotti e discussi, ancora oggi, nel mondo”, dice Luca.
Poi a Via Tasso, la tristemente famosa Via Tasso, ci
accoglie il Direttore del Museo della Resistenza. La stanza è piccola e, sebbene divisi in due gruppi (l'altro gruppo, che ci ha preceduto, ora è al Cimitero degli Acattolici), non riesce a contenerci tutti.
Il Direttore (un volontario, ci tiene a dire) ci ricorda che questo “luogo della memoria” è stato ricavato
nelle stesse stanze del palazzone che, acquistato negli anni ’30
dall’Ambasciata Tedesca, fu usato fino all’8 settembre del ’43 come dependance
della vicina sede diplomatica germanica, ma dopo quella data venne utilizzato
dalle SS hitleriane e dalle “camice nere” mussoliniane come luogo di
identificazione e interrogazione, ma soprattutto di tortura e di morte di tante e tanti, fermati per
strada o prelevati dalle loro case, sospettati di essere attivi nella
Resistenza romana o comunque antifascisti.
La visita nelle stanze (ex celle) piene di cimeli, documenti,
fotografie è particolarmente toccante.
Le finestre, tutte murate dalle SS, non
riuscirono ad attutire le urla dei torturati.
Inquietanti le “celle di
segregazione”, piccoli buchi senza luce, ricavati tra una cella e un’altra: i
graffiti sui muri testimoniano il dolore e la disperazione, ma anche la dignità, di chi è passato di
lì.
Tutto ci ricorda l’orrore del nazismo e del fascismo agonizzanti e
quale fu il “prezzo della libertà” pagato da chi al conformismo preferì
l’ascolto della propria coscienza e alla delazione dei
propri compagni di lotta preferì la tortura, la sofferenza e la morte.
(segue nel post successivo 340 bis)
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(1) Associazione Nazionale Partigiani Italiani
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