giovedì 15 novembre 2012

(348/1) - S. MARTI' 2012 - IL PRIMO BILANCIO E' POSITIVO!

Il banco di lavorazione delle cresce


Chiedo scusa agli affezionati Lettori di questo blog per il lungo silenzio, ma il “S. Martì” mi ha preso (ed ho dovuto conciliarlo anche con altri impegni) !
Debbo dire che, come tutte le manifestazioni di questo tipo (in passato ho avuto esperienze più “politiche”, le “Feste dell’Unità”, per capirci…),  è stata una bella esperienza, soprattutto per la socialità che genera.
“Stare insieme” abbatte le diffidenze, anche se non le differenze.
E così, “stare insieme” è ancora più importante se ti porta a farlo con persone che mai avresti pensato. Conoscendosi meglio, migliorano (o trovano conferma) i “rapporti umani”: il chè non è poco, credetemi!

In 2 dei primi 3 giorni in cui il “S. Martì“ si è svolto nel Capoluogo, ad esempio, mi sono ritrovato nella ‘cresceria’ gestita dal Circolo parrocchiale, con – tra gli altri - Alberto Cinti e David Anastasi (oltre ad uno stuolo di simpatiche signore impegnate nelle operazioni di lavorazione e stesura della perna nonché della farcitura delle cresce, di pane o di polenta, una volta cotte). E potete ben capire come non sono mancate occasioni per... “frecciatine” sulle scelte più recenti dell’Amministrazione comunale, ad es: le aliquote IMU. 

Un po’ diversa l’esperienza nel 2° round, quello che porta il “S. Martì” nella sua sede storica, ad Angeli.
Nella “cresceria” della Pro Loco l’ambiente è più spazioso ma, dal punto di vista umano, si ritrova la stessa voglia di “darsi da fare” per la migliore riuscita della Festa. Tutto è organizzato come una piccola “catena di montaggio”.
In un angolo ampio c’è il reparto “foje” dove sono all’opera, in modo professionale, simpatiche e silenziose signore che preparano, lavano e cuociono le verze (che riempiranno le cresce, con o senza prosciutto). 
Più in là (vedi questa prima foto) ci sono altre sapienti signore, “regine” dell’impasto e della stesura della sfoglia, poi prontamente trasferite al “reparto cottura”. 
In un angolino si affetta il prosciutto. In un altro c’è l'allestimento della crescia, a seconda delle richieste (di pane o di polenta, semplice, con prosciutto, con foje o con tutt' e due) presentate alla cassa e trasmesse dai “corrieri-portaordini”, che debbono occuparsi anche della consegna delle stesse ai richiedenti (questo è stato, soprattutto, il mio ruolo).
Poi, come detto, c’è il “reparto cottura”, l’altro vero cuore dello stand: due imponenti macine in pietra su cui sono state ingegnosamente sistemate le griglie rotanti per la cottura delle cresce (vedi foto successive); qui la temperatura consiglia un abbigliamento leggero: canottiera o maglietta a maniche corte, nonostante la temperatura invernale esterna.
Più fuori, infine, c’è il “fuochista”, impegnato nel produrre abbondante brace dalla combustione di tronchetti di legno e nel trasferimento della stessa sotto le griglie di cottura. 
 Insomma, lo stand richiede un lavoro di squadra, con diversi ‘players’ fissi, ma anche con inserimenti temporanei, magari anche solo per poche ore (a me è successo così).

La Festa è andata bene. Il bilancio sotto il profilo della socialità è ottimo. Ma anche il risultato economico sembra buono, seppur un po’ inferiore a quelli degli altri anni (“la crisi c’è e morde…”).

La pioggia ha aiutato un po’ a chiudere le giornate conclusive di domenica 4 e 11 novembre.
Più tardiva (verso le 19.30-20.00) e leggera, e dunque tollerabile e accettata, quella di domenica 4. 
Più anticipata (fin dal primo pomeriggio e, a sprazzi, per tutta la serata), fastidiosa e intensa quella di domenica 11, che quindi è stata molto meno tollerata e accettata, perché ha pregiudicato un finale che poteva essere diverso e un pochino più “premiante” per le fatiche degli organizzatori e dei "lavoratori" della Festa, tutti rigorosamente Volontari.

E come disse il comandante Schettino: “Va bbuo’…”: ci si rivede nell’edizione del 2013, la 24° !

PS: nei post che seguono, vi propongo alcune fotografie. 
Non ne ho fatte molte perchè c’era già “Lui”, il Primo Fotografo del Paese, che ci pensava (tra un assaggio e l’altro di prosciutto o di una ‘tazza’ di vino, brulè e no…).

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